Scritto da  2014-10-25

Anche allora l'Italia preferì mentire

 Il Caso S. - Corpi di donne nel colonialismo italiano
Il Caso S. - Corpi di donne nel colonialismo italiano http://www.casoesse.org/2011/06/15/corpi-di-donne-colonialismo-italiano/

1931, giustiziato il «leone del deserto» libico
Anche allora l’Italia preferì mentire

IL DOCUMENTO

Ordine del giorno del generale Graziani

«Omar el Mukhtar, il capo politico e militare dei ribelli, è caduto nella rete che da diciassette mesi sul Gebel cinquanta volte si era aperta e chiusa per afferralo: c’è caduto alfine!
E non è fortuita circostanza: è la tenacia, la fede, il valore, lo spirito di sacrificio dei comandanti e delle truppe che hanno trionfato!
È il metodo che si è venuto affinando in tutti gli atti dell’operazione bellica, dall’esplorazione aerea a quella terrestre, dal concetto di manovra alla esecuzione nel campo tattico!
È lo strumento che è stato lubrificato in tutte le sue articolazioni! È l’armonica azione dell’aviazione, dei battaglioni, degli squadroni!
Ufficiali, soldati, Siamo a una svolta decisiva! Siamo alla frusta! Avanti, per la grandezza d’Italia!»

Non furono «la tenacia, la fede, il valore, lo spirito!» come scrisse il generale Rodolfo Graziani nel suo enfatico messaggio alle truppe. Fu, più semplicemente, un delatore a consentire l’arresto del «leone del deserto» Omar El Mukhtar, l’eroe nazionale libico. È quanto emerge, quasi 80 anni dopo, dall’esame delle carte conservate dai familiari di Giuseppe Franceschino, il giudice istruttore del Tribunale del Corpo d’Armata territoriale di Bengasi, cioè della corte che, dopo un processo-farsa, condannò El Mukhtar all’impiccagione.


Era il 1931. Ma il fantasma di El Mukhtar è comparso più di una volta nella storia tormentata dei rapporti italo-libici. Nel 1981 il colossal americano «Il leone del deserto» - dove la parte di El Mukhtar era interpretata da Antony Quinn - fu denunciato per «vilipendio alle forze armate» e gli italiani poterono vederlo in modo semiclandestino solo nei circuiti alternativi. Da allora molte cose sono cambiate. Tanto che solo l’agenzia libanese As Safir ha registrato, nelle cronaca della visita di Berlusconi a Tripoli, una stretta di mano tra Berlusconi e il figlio del «leone del deserto».


Omar el Mukthar fu catturato l’11 settembre del 1931 durante un trasferimento. Un episodio chiarisce a che genere di processo fu sottoposto: alla fine fu condannato anche il suo avvocato, il capitano Roberto Lontano, colpevole di aver difeso il suo assistito con troppo zelo. La condanna a morte mediante impiccagione fu eseguita il 16 settembre, alla presenza di 20.000 deportati libici. Pochi mesi dopo la ribellione cessò definitivamente.
Qualcuno (fra cui il gerarca Emilio De Bono) avanzò il dubbio che la cattura fosse stata consentita dal tradimento di un altro capo della rivolta. Ma all’ipotesi non fu mai trovata alcuna conferma. Quella che, oggi, arriva dalle carte del giudice istruttore e in particolare dai verbali dell’interrogatorio di Hamed Bu Seif, un trentacinquenne mulesem aul (sottotenente) del dor di Abid, che comparve davanti al magistrato il 12 maggio 1931, poco più di tre mesi prima dell’arresto.
L’incipit racconta non solo l’avvio della collaborazione da parte di Hamed Bu Seif ma anche di altri rivoltosi: «Confermo quanto ho già dichiarato... nulla ho fatto contro il Governo, sottomettendomi al quale, son sicuro di avere la tranquillità... Mi sono sottomesso perché ho visto che Saad Fannusc sottomessosi è stato lasciato tranquillo e, al Dor gli altri che hanno intenzione di sottomettersi, vogliono prima vedere come sono trattato anch’io».


Dunque, l’avvio di una azione di gruppo, di cui Bu Seif era solo l’avanguardia. L’interrogatorio, ripreso anche nei giorni seguenti, produceva molte informazioni sull’organizzazione della resistenza: armamenti, organigrammi e una raffica di decine di nomi con le rispettive azioni compiute, sino a riempire 25 fitte pagine di verbale. In particolare colpiscono molti passaggi riguardanti Omar el Mukhtar:
« ...il drappello che è a guardia personale di Omar Mukhtar non ha caimacan, ma un Bimbasci comandar: egli è Bubacher Zigri....si distinguono dagli altri perché: sono tutti della stessa cabila di Omar e perchè vestono barracani di seta, e tachie rosse... Quando la carovana si muove ...poiché con essa si muove anche Omar Mukhtar è scortata anche dai suoi cavalieri... Omar non cavalca un cavallo sempre dello stesso colore, quando lo lasciai cavalcava un cavallo bianco... la tenda di Omar Mukhtar è a 4 teli, italiana, ed è come quella che adoperiamo noi ascari. Egli non ha più la tenda conica...».
Tutte notizie utili a individuare il capo guerrigliero e la sua guardia del corpo, magari dall’alto di una ricognizione aerea.


Ignoriamo che fine abbia fatto Hamed Bu Seif e se sia mai stato processato, ma sembra decisamente improbabile che il comando militare italiano abbia lasciato cadere una così rilevante offerta di collaborazione che, probabilmente, riguardava un gruppo non piccolo. C’è da credere che la promessa di impunità sia stata mantenuta. La pelle del «leone del deserto» valeva moltissimo.


Benché ultrasessantenne divenne rapidamente il capo indiscusso della resistenza libica e si guadagnò una fama di invincibilità. Per fermarlo le truppe di Graziani compirono atrocità al limite del genocidio, deportando oltre 80.000 libici in campi di concentramento. Lo stesso Rodolfo Graziani, riconobbe che si trattava di misure di eccezionale crudeltà (e, detto da lui...). Nel gennaio 1931, l’oasi di Kufra venne presa con un eccezionale spiegamento di forze (20 aerei, 300 autocarri, 7.000 cammelli), ma la speranza di catturare Omar andò delusa. In settembre il «dor» era ridotto in condizioni disperate, ma, data la vastità del territorio, non era facile dire per quanto tempo ancora sarebbe durata la caccia. Inoltre, esisteva un rischio molto serio: Omar -già sfuggito alla cattura infinite volte- avrebbe potuto superare il reticolo di filo spinato e raggiungere l’Egitto con parte dei suoi. Lì sarebbe stato imprendibile e avrebbe potuto riorganizzarsi. Un rischio che il governo fascista -in lotta col tempo- doveva assolutamente evitare.

Articolo di Aldo Giannuli tratto da "L'Unità" del 4 settembre 2008

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