Lunedì, 13 Ottobre 2014 08:00

Nigeria dove i pesci puzzano di petrolio

Nigeria dove i pesci puzzano di petrolio

Articolo tratto da "Famiglia Cristiana" dell'11/10/2014

(Antonio Pasta)

«Se vuoi andare a pescare, devi pagaiare per circa quattro ore attraverso diversi fiumi prima di arrivare dove c’è pesce e le fuoriuscite sono minori... alcuni dei pesci che prendiamo, quando apri il loro stomaco, odorano di petrolio grezzo». Così un pescatore della regione dell’Ogoniland in Nigeria racconta ai ricercatori di Amnesty International le conseguenze dell’incendio di una conduttura dell’oleodotto Trans Niger nella baia di Bodo. In quel caso, la responsabilità era della Shell. Il petrolio versato nella palude ha ricoperto l’area di uno spesso strato che ha ucciso i pesci da cui la gente dipendeva per sfamarsi. Otto mesi dopo l’accaduto, lo staff della compagnia ha portato del cibo alla comunità locale, che lo ha rifiutato perché totalmente insufficiente a riparare il danno.

Ancora oggi, le conseguenze di quell’incendio del 2008 sono visibili. Del resto, in base a un rapporto Onu del 2011, per bonificare soltanto la zona del Delta del Niger, servirebbero trent’anni e almeno un miliardo di dollari; per Environmental Rights Action, la più importante ong dell’area, la stima sale addirittura a 100 miliardi. Nel Delta del Niger, una delle dieci più importanti zone umide ed ecosistemi marini di costa del mondo, vi abitano 31 milioni di persone: il sostentamento di oltre il 60% dipende dall’ambiente naturale. «Sperimentiamo l’inferno della fame e della povertà. Le piante e gli animali non crescono bene», racconta Jonah Gbemre, della comunità Iwerhekan. Infatti, a causa delle fuoriuscite di petrolio, dello scarico di rifiuti e delle torce di gas prodotte da compagnie quali Eni, Shell, Total e ora anche le cinesi, gli abitanti sono costretti a usare acqua inquinata per bere, cucinare e lavarsi, a nutrirsi con pesce contaminato e a respirare aria avvelenata.

È un caso di quella che è stata chiamata “maledizione delle risorse”: dal 1960 – sono gli anni in cui anche l’Eni, tramite l’Agip, arrivò in Nigeria – ad oggi, il petrolio ha generato un guadagno stimato attorno ai 600 bilioni di dollari, ma le condizioni di vita della popolazione locale sono peggiorate. Dal maggio 2009, Amnesty continua a produrre report sui diritti umani e dell’ambiente, raccogliendo testimonianze di nigeriani a cui il petrolio ha rovinato la vita. Lo scorso anno, una donna di Ikarama ha mostrato agli attivisti dell’ong i figli coperti di irritazioni cutanee per aver fatto il bagno nel fiume. Racconta Christian Lekoya Kpandei di Bodo: «Quello che ho visto sulla mia terra superava la mia immaginazione. Piangevo, tutto il mio lavoro distrutto in un attimo». Nel 2001, grazie a un microfinanziamento di una cooperativa, in una foresta di mangrovie aveva avviato un allevamento di pesci gatto e cernie. Dava lavoro a dieci operai, ora è tutto nero per chilometri, tutto coperto di petrolio, tutte le mangrovie morte: i duemila pescatori della zona sono tutt’ora senza lavoro.

Aggiunge Christian: «Abbiamo dovuto lasciare la nostra, viviamo in un unico locale senza più mezzi di sostentamento. Qui la scuola va pagata e per questo abbiamo dovuto lasciare a casa nostra figlia». A Bodo, come a Ikarama e nell’area della comunità Iwerhekan, nessuna seria bonifica è stata effettuata. È tutto ancora avvelenato. Per Amnesty, è «vergognosa» la mancanza d’iniziative in tal senso da parte del Governo della Nigeria e dei giganti petroliferi, nonostante le chiare indicazioni delle Nazioni Unite.

Pubblicato in blog